Le diverse sfumature dell'essere sono l'oggetto principale della ricerca filosofica di Antonio Rosmini. Questa tematica - l’essere - non è prerogativa di Rosmini. O meglio, Rosmini giunge alla sua conclusione tenendo nella debita considerazione il percorso storico del concetto di essere. Per avere dinnanzi una visione dell'ontologia anteriore e posteriore al filosofo roveretano ripercorriamo gli autori principali che hanno sostenuto o negato la centralità dell'essere come proposizione fondativa del pensiero umano[1].
Nella storia della Filosofia, l'innovatore radicale e rivoluzionario è PARMENIDE di Elea vissuto a cavallo del VI e V secolo a.C. La sua struttura ontologica si fonda sul principio che ‘l'essere è e non può non essere; il non-essere non è e non può in alcun modo essere’. Secondo Parmenide esiste, e quindi 'è' solo ciò che uno pensa e dice, perché il nulla non si può pensare, dato che non esiste. Ne segue che pensare ed essere vengono a coincidere. Se vi è l’essere, non vi può essere contemporaneamente il non-essere: si tratta del principio di non-contraddizione che diverrà il 'caposaldo' dell'intera logica dell'Occidente. L'essere, quindi, non ha un passato - dato che esso non è più -, e non può essere un futuro - poiché non è ancora esistente - l'essere quindi è un eterno presente, privo di inizio e fine. Fedele pertanto a se stesso, l’essere è immutabile e immobile, poiché ogni mutamento e cambiamento modificherebbe, alterandola, l'identità dell'essere. L'essere risulta così vincolato dalla necessità (anànche), che è il suo limite ma al contempo il suo fondamento costitutivo. Tutte queste caratteristiche dell'essere portarono Parmenide a paragonare l'essere ad una sfera, la quale, già per i Pitagorici, indicava la perfezione.
ERACLITO elabora
una teoria che si contrappone al pensiero di un essere statico e
immobile. Tutto, infatti, -secondo Eraclito - si muove, tutto scorre
(= panta rhei), nulla resta il medesimo. Non ci si può immergere due
volte nel medesimo fiume, perché quando si entra nel fiume la seconda volta,
l'acqua è differente perché quella precedente è già passata. L'uomo è immerso
nel divenire per cui si passa da un contrario all'altro: le cose fredde si
scaldano, le calde si raffreddano; le cose umide seccano, e le secche si
inumidiscono, ecc. Se ne deduce che il perenne scorrere delle cose, e il divenire
universale, altro non è che 'armonia di contrari'. In questa armonia gli
opposti coincidono, 'la via in su e la via in giù sono la medesima via'; 'nel
cerchio il principio e la fine vengono a coincidere'; l'uomo che si addormenta
e quello che si sveglia è la medesima persona, per cui 'tutto si racchiude
nell'uno' e 'dall'uno deriva il tutto'. Eraclito pone il 'fuoco' come principio
fondamentale di tutte le cose; esso governa ogni entità dell'universo, per
questo il fuoco è 'intelligenza', 'ragione', 'logos', 'legge razionale', tutti
privi di sensazione corporea, pertanto occorre andare oltre i sensi per poter
cogliere la 'verità' di ogni realtà.
A
tentare di offrire una conciliazione tra l’essere statico di
Parmenide e l'essere mobile di Eraclito, si impegnano due filosofi
pluralisti: Empedocle e Anassagora.
EMPEDOCLE, vissuto
nel V secolo, partendo dalla considerazione dell'essere come sempre
uguale a se stesso, considera il nascere ed il morire come semplici momenti di
trasformazione di sostanze che permangono eternamente in quanto radici di tutte
le cose; i quattro elementi sono l’acqua,
l’aria, la terra, il fuoco. Unendosi danno origine
alla generazione delle cose, e separandosi portano alla loro corruzione. Il
predominio dell'amore e dell'amicizia porta all'unità, mentre la prevalenza
della discordia e conflittualità porta alla separazione. Tuttavia, dato che i
quattro elementi sono divini, tutto ciò che deriva da loro possiede l'essere
divino. L'anima dell'uomo è stata allontanata dall'Olimpo a causa di una colpa
originaria e solo il ciclo di rinascite le consentirà di espiarne la colpa e
ritornare tra le divinità.
Per ANASSAGORA (500 a.C ca.-428 a.C.
ca.) l'essere è eterno ed immutabile, ma non può essere ridotto a
solo quattro elementi (come per Empedocle). I 'semi', cioè gli elementi da cui
derivano le cose sono innumerevoli sia nella loro qualità che quantità e dalla
loro mescolanza derivano tutte le cose. Ciascun elemento può essere diviso
all'infinito in parti sempre più piccole e sempre uguali (= omeomerie), senza
mai giungere al nulla (dato che il nulla non-è, non esiste). Poiché il nulla
procede dal nulla, necessariamente in ogni seme vi è la presenza di tutti gli
altri elementi: nel seme animale vi sono già i minerali, la carne, le ossa, i peli
ecc. altrimenti tutte queste cose non potrebbero apparire lungo lo sviluppo
corporeo. Dal caos iniziale, il movimento viene impresso da una
divina Intelligenza (il Noús, Intelletto cosmico ordinatore), la
quale è a sé e non si mescola con alcuna cosa, domina su tutto; essa è più
sottile e pura di tutte le cose, ha la conoscenza di tutto e l'energia per
governate ogni realtà.
DEMOCRITO conserva
la dicotomia 'essere / non-essere', ma dichiara che tutta la realtà è composta
di corpi piccolissimi, non visibili all'occhio umano, da lui chiamati atomi (in
greco 'atomo' = non-divisibile), l'atomo, a motivo della sua piccolezza non può
essere colto dai sensi, ma solo dalla intelligenza. L'atomo quindi non è solo
la fisicità degli elementi, ma ne è anche la 'forma visibile all'intelletto'.
Nell'uomo, l'opinione percepisce gli aspetti sensitivi degli atomi,
mentre la verità ne coglie la loro essenza. Gli atomi si
differenziano tra loro per la forma, per l'ordine e per la posizione. Secondo
Democrito, gli atomi rappresentano l'essere, la fisicità; essi, per
potersi muovere, hanno bisogno di un ambito privo di materialità, cioè il
vuoto, che il filosofo qualifica come non-essere. La mescolanza e
aggregazione degli atomi tra loro avvengono in modo casuale e meccanico, e non
dipendono da alcuna causa intelligente, né da una causa finale.
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